Un videogioco narrativo può scegliere di sacrificare il gameplay o, meglio, trovare il modo di farlo funzionare per essere partecipe della storia, di diventarne parte integrante. A volte, però, sceglie la terza strada.
Indika ha una grande personalità, non vi hanno mentito, ed effettivamente riesce a sorprenderti pure con quell’aspetto un po’ grezzo che contraddistingue tutta l’avventura. Non è mai brutto, anzi, ma è come se si siano limitati a spalare la neve dalla strada, senza avere il tempo di preoccuparsi di quella intorno. Quella che racconta è una bella storia, un bel rapporto umano, e lo fa attraverso dialoghi non tipici di questo medium soffermandosi su temi religiosi e psicologici non tipici e basta.
Il gioco, però, non serviva. Puzzle ambientali, minigiochi e altre cazzatine varie servono a variare le quattro ore del racconto ma non aggiungono niente a quello che il gioco vuole realmente dire o fare. Quando va bene, non sono un gran problema; quando va male, invece, sono una noia fastidiosa che ci potevano benissimo risparmiare. Tranne all’inizio, dove effettivamente si mette in scena una meravigliosa (ma lenta e faticosa) intuizione ludica.
Ho finito Indika da qualche ora e non riesco a togliermelo di dosso. Penso e ripenso agli splendidi due protagonisti, a cosa si sono detti, a cosa hanno passato e provo a rimettere insieme i pezzi di quello che ho visto e sentito, a capire se c’era o non c’era una logica dietro a quel finale. Penso, e non è mai cosa da poco.
Vito’s Vote: 6
Alla fine un po' di ragione ce l'avevo dai, un po', non completamente. (riguardo al non abbandonarlo)
Secono me abbastanza mediocre. I discorsi che fanno i due protagonisti sulla fede, dio, il libero arbitrio, il senso di colpa ecc sono abbastanza banalotti. Già un 15enne abbastanza sveglio si è posto gli stessi dubbi, se il target fosse il videogiatore giovane capirei anche, ma (ovviamente sempre secondo me) il target è palesemente un tipo di giocatore colto che, mi dispiace dirlo, farà difficoltà a trovarci qualcosa di interessante dentro sul lato filosofico.
La cosa che più mi ha affascinato sono le architetture e il mondo che ci circonda, quasi una commistione tra Escher e il castello di Ico, ma che rimangono sempre sullo sfondo e con cui si gioca, troppo, poco.
Esistono già i romanzi di Dostoevskij che più o meno trattano queste tematiche, se un videogioco cerca di fare lo stesso, anche banalizzando un po', e riducendo l'elemento ludico/di gioco/gameplay al minimo, qual è il senso ultimo per cui dovrei consigliare Indika? Secondo me a questi tipi di videogiochi manca un po' la consapevolezza del medium, capisco il voler meta-"giocare" con i punteggi e la masturbazione del diavolo sul finale, ma le ho trovate abbastanza banali come critica interna al videogioco (e al mondo dei social/della visibilità/della gamification basato sui numeri). Ci riuscì meglio Kojima (per fare un esempio dei tanti) con Metal Gear Solid 2 a fare metacritica.