Wilmot Works It Out
È così facile innamorarsi della perfezione. Perché la riconosci da lontano, la vedono tutti, e puoi solo annuire quando ti passa di fianco. Ma la vita non ha a che fare con la perfezione e devi imparare a riconoscerla la bellezza.
Wilmot Works It Out è il gioco più banale del mondo: lui ti manda i pezzi e te ricomponi il puzzle. Non aspettarti di più, non c’è. Nessuna meccanica sofisticata, nessuno spunto narrativo particolare, niente tempo a metterti pressione, solo tu e una serie di immagini indovinate da rimettere insieme con pazienza e metodo.
Funziona pure, a modo suo: è rilassante, gratificante pure, le immagini sono stimolanti e il gioco si diverte a confonderti continuamente facendoti credere fischi per fiaschi. Però Wilmot Warehouse era un capolavoro, questo no. Pure a volergli tutto il bene del mondo, gli manca proprio quella scintilla di genio, quel qualcosa in più che lo faccia sembrare molto meglio dei giochi di vetrate che pure mi piacciono.
Forse solo il new game plus lascia intravedere cosa il gioco poteva e voleva essere, aggiungendo una componente organizzativa che ti costringe a litigare anche con lo spazio, che ti permette di sbagliare, che ti fa sentire giusto un filino meglio del vecchio rimba che compra puzzle in pensione. Ma chi sono io per giudicarvi?
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